Bologna burns!
Bologna burns!
L’11 e il 12 marzo 2010 i ministri dell’istruzione di 46 paesi europei celebreranno a Vienna il 10° anniversario della dichiarazione di Bologna.
Un processo lungo 10 anni…
Dieci anni fa, nel “lontano” 1999, 29 ministri dell’istruzione provenienti da vari paesi Europei, tra cui il nostro, hanno sottoscritto la Dichiarazione di Bologna, cioè un documento d’indirizzo strategico al quale tutti i governi si sono effettivamente adeguati in questi anni.
La Dichiarazione ha introdotto:
1. Il sistema del credito/debito formativo come strumento di quantificazione della conoscenza;
2. La progressiva selezione di classe, con l’istituzione del 3+2 e di successivi livelli di istruzione (costosissimi Master e specializzazioni);
3. Attraverso dichiarazioni, libri bianchi, raccomandazioni, direttive della Commissione Europea, o la semplice azione coordinata dei governi, ha implementato la privatizzazione dei servizi legati al diritto allo studio e la riforma della Governance Universitaria.
Oggi, dieci anni dopo, abbiamo sotto gli occhi il prodotto del lavoro svolto dai ministri e dai tecnocrati europei. Viviamo in Università nelle quali viene data la possibilità ai privati di entrare nei consigli di amministrazione, consentendo loro di gestire sia la didattica, sia la parte finanziaria, con inevitabili ricadute sulla ricerca. Il diritto allo studio viene progressivamente “affidato” allo speculatore di turno, attraverso strumenti come il prestito d’onore o il mercato degli affitti; è sempre più difficile accedere a servizi come la mensa e gli alloggi universitari; si riducono gli spazi di aggregazione e socialità. In Italia abbiamo la conferma di quanto diciamo: le immatricolazioni quest’anno sono diminuite del 2,3%, con forti picchi nelle regioni a basso reddito, una fotografia perfetta dei risultati di decenni di politiche neo-liberiste.
Non ci bastano vittorie parziali… Abbattiamo il Processo di Bologna!
L’università-azienda è stata costruita negli ultimi dieci anni con riforme attuate da governi di qualsiasi colore politico. Dall’autonomia finanziaria firmata Ruberti alla riforma Gelmini del 2010 si sono susseguite leggi e provvedimenti che hanno smantellato l’università pubblica. Tante sono state le mobilitazioni che hanno saputo porre l’attenzione su questi temi fino ad arrivare all’autunno del 2008 quando, in risposta all’ennesimo attacco al diritto allo studio, è nato un movimento trasversale a tutti i livelli della formazione. Studenti e ricercatori sono scesi in piazza ed hanno occupato scuole ed università con rivendicazioni che hanno inquadrato le riforme all’interno di un più ampio processo di ristrutturazione del sistema capitalistico. L’Italia non è stata, però, un caso isolato: dalla Grecia allo Stato Spagnolo, passando per Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Francia e Paese Basco, la protesta è divampata in Europa con scioperi e contestazioni al modello di istruzione promosso dal Processo di Bologna. Il passaggio necessario per garantire un successo reale a queste mobilitazioni è l’unificazione delle lotte a livello europeo sotto l’unica parola d’ordine possibile: abbattiamo il Processo di Bologna!
Chi governa in Europa…
Dietro le quinte dell’architettura giuridica europea c’è il burattinaio che muove i fili delle riforme. Si chiama ERT (European Round Table of Industrialists), la più potente lobby industriale europea che ha deciso di elaborare un piano comune di intervento sui meccanismi dell’istruzione nel momento in cui si presenta la necessità che la futura forza-lavoro si prepari a ciò che le spetta, un futuro di precariato, disoccupazione e sfruttamento, mascherato dietro il mito della flessibilità. L’introduzione degli stages formativi e l’asservimento della formazione pubblica ai bisogni del capitale privato già producono una forza lavoro disciplinata, a costo zero, da immettere immediatamente sul mercato del lavoro. Sempre in Italia è in via di approvazione una legge che “consente” di spendere i propri anni di scuola in tirocini formativi, cioè lavorando gratis.
…e chi subisce
È evidente come il processo di ristrutturazione del sistema formativo sia intimamente legato all’attacco frontale ai diritti collettivi dei lavoratori. Questo fatto risolve il dilemma delle alleanze possibili per noi studenti: possiamo scegliere di allearci con i baroni, che veicolano l’ideologia neo-liberista nelle nostre facoltà e rendono operativa la strategia delle imprese nei CDA dei nostri atenei, oppure scendere in piazza insieme ai lavoratori che resistono ai continui tentativi di “farci pagare la crisi”. Per noi la risposta è scontata. Il progetto concreto di opposizione all’Europa neoliberista si costruisce con chi lo subisce, non con chi lo determina. Saremo a Vienna e nelle nostre città per far si che questa mobilitazione sancisca l’apertura di un percorso di lotta unitario che spezzi le catene che imbavagliano la conoscenza e ci legano ad un futuro fatto di sfruttamento e precarietà. Lottare per un’università che sia pubblica, gratuita, libera e di massa non significa alzare un ditino nei Consigli di Facoltà, né tantomeno limitarsi a chiedere una riforma parziale del sistema formativo quale oggi si configura. Significa invece dare fuoco al Processo di Bologna nel suo insieme, e lasciare che bruci.
E brucerà…
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