riflessioni sul 15
L’Italia nel mediterraneo
Diego Negri*
La giornata del 15, la sua preparazione, le sue mille differenziazioni, con i diversi uffici stampa, percorsi, iniziative, con il numero delle bandiere, con le riunioni interminabili, con le scalette per gli interventi, si è risolta immediatamente dentro la battaglia di piazza San Giovanni, dove in modo anonimo, una parte di quella generazione precaria ha manifestato in modo diretto la sua indignazione al presente, rompendo ogni schema.
Stanno già vomitandoci addosso, analisi sociologiche, gare alla dissociazione o critiche a se si fosse fatto in questo modo o nell’altro…
E’ divertente leggere la quantità di termini con cui sono stati appellati i ragazzi di piazza san giovanni: teppisti, criminali, black bloc, terroristi, ecc… ma la lista potrebbe essere molto più lunga, come sempre si parla di tutto per non parlare di nulla.
Sta succedendo una cosa semplicissima, esiste ormai da diverso tempo una porzione sociale in questo paese che è di fatto esclusa da ogni meccanismo, sociale, politico, partecipativo. Si parla molto di precarietà, ma chi deve cambiare un lavoro ogni settimana, chi effettivamente non riesce ad arrivare alla fine del mese, chi è costretto a dover vivere sul sistema di credito delle precedenti generazioni, chi vive ogni giorno sulla propria pelle l’autorità del controllo poliziesco, oggi ha come unico mezzo, la rottura degli schemi, perché non ha collocazione. Dove dibattiti su violenza-non violenza, sinistra-destra (in un sistema bipolare dove gli interessi sono i medesimi), appaiono come vecchi arnesi da museo della storia.
Non è l’affermazione di una programma, ma è semplicemente reazione ad una situazione data.
Dove non vi è programma e neppure organizzazione, ma è semplicemente movimento dinamico, non fatto di assemblee, di determinati codici linguistici, di ripartizioni al Cencelli come micro parlamentini, è movimento con la m minuscola. E’ una fiammata, ma è sicuramente un calore che l’Italia non provava da diverso tempo. Un altro elemento importante è stata la rottura del piano della rappresentazione. Nessuna area o organizzazione potrebbe o avrebbe potuto sovra determinare questi eventi, può solo assecondare o combattere, ma non determinare.
Se è suggestivo lo slogan siamo il 99%, bisogna considerare che dentro questo 99% presenta settori che hanno tempi e modi diversi di esprimere la loro condizione e reazione al presente.
Se esiste un problema di prospettive, di fronte ad una crisi che mette in discussione le certezze degli ultimi 30 di plastica, questa non deve diventare un alibi per non scorgere le dinamiche che oggi attraversano la società. La generalizzazione della precarietà oggi investe quote sempre più consistenti di quel 99%, che chiede lavoro, casa, reddito, saperi, e anche se in forma indiretta un diverso futuro. Esiste un reale problema di partecipazione e protagonismo diretto, non mediato e non rinchiuso in meccanismi ormai incapaci di dare risposte nel qui e ora a queste nuove generazioni. Cosa che non può ridursi a discutere per le prossime manifestazioni di robusti servizi d’ordine (di fatto pensati contro i manifestanti) o a negare le scadenze nazionali, occorre avere la pazienza, la fantasia di saper dare voce a chi oggi vive e subisce la generalizzazione della precarietà. La velocità con cui si è messo in moto il mondo, provocato da una accelerazione causata dalla crisi, mette in discussione molto, dal piano generale a quello particolare, chi avrà la capacità di capire questo, potrà sperimentare forme, pratiche, organizzazioni di “valore d’uso” per tutti.
Poco tempo fa nelle piazze indignate spagnole e greche si leggeva un cartello che recitava: facciamo piano altrimenti svegliamo gli italiani. Oggi si può dire che la Grecia, la Spagna e il sud del Mediterraneo sono un pò più vicini all’Italia.
*BolognaPrendeCasa