La questione dell’acqua rappresenta un aspetto fondamentale della strategia di occupazione israeliana nei Territori Palestinesi Occupati, nel Golan, e nella Striscia di Gaza. Il mito sionista di “far fiorire il deserto”, infatti, è attuato impedendo ai Palestinesi di accedere alle risorse idriche legalmente, tecnicamente e fisicamente e creando condizioni che li spingano ad abbandonare le loro terre.
Israele si è appropriato di tutte le risorse idriche ed i palestinesi sono costretti a pagare la propria acqua alla azienda idrica israeliana, Mekorot, a prezzi superiori rispetto a quelli vigenti per gli israeliani. Il consumo medio annuale di un israeliano (357 mc) è quattro volte più elevato di quello di un Palestinese di Cisgiordania (84,6 mc). La Mekorot, rifornisce gli israeliani, compresi quelli delle postazioni militari israeliane e delle colonie, ininterrottamente. I Palestinesi, invece, a causa di interruzioni arbitrarie di erogazione, sono obbligati a fare riserva di acqua piovana e ad usare camion‐cisterna, facendo rincarare il prezzo dell’acqua.
Mentre i coloni israeliani utilizzano l’acqua per piscine, prati e per “far fiorire il deserto”, i palestinesi impiegano l’acqua prevalentemente in agricoltura. La quantità d’acqua a disposizione degli agricoltori della Cisgiordania è molto inferiore a quella impiegata dai coloni.
I Palestinesi non hanno il diritto di perforare pozzi senza l’autorizzazione militare israeliana, mentre i coloni lo possono fare e sempre più a grandi profondità. Con vari espedienti Israele cerca di sottrarre o distruggere i pozzi palestinesi. Lo stesso tracciato del Muro è stato concepito anche con l’intento di separare i pozzi dalle terre, provocando l’abbandono dei territori e la loro confisca da parte di Israele.
La politica di appropriarsi delle risorse è chiaramente parte del progetto sionista.
Comitato Palestina Bologna
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