sul sindacalismo metropolitano a Bologna
le sue sperimentazioni il caso Bologna
E’ ormai da diverso tempo che si è aperta la discussione in merito al sindacalismo metropolitano, diventando uno dei punti qualificanti su cui si è costruita l’assemblea nazionale della CUB di Riccione.
Il sindacalismo metropolitano vuole essere la capacità di una struttura sindacale di intervenire e organizzare le fasce popolari partendo dai territori, andando a integrare la pratica sindacale sui posti di lavoro. Questo non è una novità se si considera la storia del sindacalismo, che ha sempre oscillato tra il piano territoriale e quello aziendale. Tuttavia non va confuso con le Camere del Lavoro, che avevano come base di partenza la sommatoria delle diverse categorie d’azienda, cosi come non è una moderna associazione di consumatori.
Il sindacalismo metropolitano si rivolge in due direttive: da una parte creando organizzazione e conflitto rispetto al reddito indiretto (servizi, casa, diritti civili, ecc…) dall’altra creando uno spazio organizzativo e rivendicativo per fasce di lavoratori che non possono essere inquadrati a livello aziendale, vuoi per la tipologia contrattuale, o per la mansione di lavoro. Più in generale pensa a forme di intervento che sappiano coniugare i diversi aspetti aziendali con quelli territoriali.
Siamo in una fase di sperimentazione, quindi allo stato attuale i contorni organizzativi del sindacalismo metropolitano sono ancora da definire, anche rispetto al livello di rappresentanza dentro l’organizzazione stessa e le modalità di tesseramento. Le differenze delle diverse “Italie” impongono una dimensione elastica, in quanto i diversi territori esprimono una diversa composizione sociale e urbana. Va comunque sgomberato il campo da un equivoco: la dicitura sindacalismo metropolitano non è intesa rispetto unicamente alle aree metropolitane, nonostante in questi territori questa pratica sia sempre più necessaria per difendere e tutelare le fasce lavoratrici dalla precarizzazione che una metropoli produce su ogni aspetto della vita; bensì consiste nel rapporto con il territorio e le diverse problematiche ad esso collegate, in questo senso si può ipotizzare un intervento sindacale metropolitano sia in un paese che in una città.
In questa fase all’interno delle RdB si sta cercando di sperimentare questo, valorizzando le strutture territoriali esistenti come l’AS.I.A., l’Associazione Inquilini Assegnatari federata alle RdB, o creandone di nuove come l’RdB immigrazione. AS.I.A è una struttura nazionale, anche se non in modo omogeneo sul territorio, con il suo punto di forza a Roma. Roma è anche il terreno dove si è sperimentato con maggiore successo forme di relazione stabili del cosiddetto sindacalismo metropolitano tramite i Blocchi Precari Metropolitani, rete che mette in relazione l’AS.I.A. con i centri sociali e comitati di lotta.
In questi mesi ha visto lo sviluppo e la crescita in territori dove non era presente come nel caso della Sardegna, o la ripresa dell’attività come nel caso bolognese. Si sta provando a sviluppare per vie interne tramite il lavoro coordinato con le RdB dentro le diverse federazioni regionali e provinciali, e parallelamente su vie esterne, essendo una delle strutture che ha rimesso in moto il confronto e una rete di relazioni tra i diversi movimenti di lotta per la casa, che vanno dall’AS.I.A, a comitati di lotta e centri sociali sul piano nazionale.
A Bologna è ormai da quasi due anni che si è ripresa un’attività continuativa con AS.I.A. L’emergenza abitativa, non cosi drammatica se rapportata ad altri territori, si è tuttavia intensificata, in questa fase in cui anche la regione emiliana è attraversata da processi di crisi in atto con l’aumento della disoccupazione e della cassa-integrazione nel settore industriale, e contemporaneamente il comparto dei servizi non riesce ad assorbire questi lavoratori espulsi. Abbiamo paesi della prima cintura urbana adiacenti a Bologna con un tasso di disoccupazione e cassaintegrazione, che sommati, arrivano al 40%.
Parallelamente l’amministrazione locale e regionale sta dismettendo l’edilizia pubblica, rompendo quel meccanismo di tutela sociale che aveva reso la regione Emilia Romagna un modello paragonabile al –socialismo scandinavo-. L’amministrazione è sempre più complice e determinante rispetto ai meccanismi della rendita, favorendo la speculazione edilizia e del suolo.
In questo contesto abbiamo ripreso l’attività di AS.I.A, creando fin da subito sportelli di consulenza per la casa, e iniziando ad intervenire su diversi segmenti rispetto alla questione abitativa.
Come AS.I.A ci siamo posti il problema di essere contemporaneamente struttura di servizio e di lotta, dando spazio alla consulenza, ma cercando di individuare contraddizioni che esprimessero un livello di mobilitazione collettiva.
I soggetti che per primi hanno iniziato a organizzarsi e mobilitarsi tramite l’AS.I.A sono per lo più famiglie di lavoratori in cassa-integrazione o disoccupati, che non riescono più a pagare un affitto. Le mansioni di lavoro sono essenzialmente quelle operaie, addetti nell’industria o nelle cooperative di pulizia o facchinaggio, dove vi è un alta percentuale di immigrati.
Abbiamo quindi organizzato gli sfrattati attraverso picchetti anti-sgombero, dove si è cercato di mischiare le famiglie di immigrati con quelle di italiani. E’ importante, in questa fase, contraddistinta da fenomeni di razzismo di massa, riuscire sul terreno concreto a far percepire l’unità e la forza che scaturisce da essa. Famiglie di italiani sotto sgombero venivano quindi difese da famiglie di immigrati anch’essi sotto sgombero. Questo non senza iniziali difficoltà visto che anche da noi esiste la leggenda delle case popolari date agli immigrati. La verità è che esiste solo un 20% di case popolari date a questa fascia, e il vero scandalo è che la domanda di case popolari è altamente superiore al patrimonio edilizio pubblico.
Si sono provate le prime occupazioni di stabili sfitti, precedute da una serie di occupazioni del consiglio comunale da parte degli inquilini sotto sfratto.
Siamo partiti direttamente dagli stabili privati, in quanto rappresentano il grosso degli immobili sfitti e sono l’esempio concreto della speculazione e dell’aumento della rendita. Era da anni che in una città come
Bologna non si colpiva direttamente la proprietà privata immobiliare. Cosi come il soggetto coinvolto non erano gli studenti fuori sede ma direttamente lavoratori. Non abbiamo sottovalutato il problema dei fuori sede, o delle precarietà giovanile che porta la maggior parte dei giovani di Bologna a dover vivere con i genitori. Tuttavia siamo partiti da un soggetto che fino a poco tempo fa si riteneva immune da quella che è oggi l’emergenza abitativa.
Questo è servito per creare un clima di solidarietà attiva dentro i quartieri dove si è occupato. Le palazzine private sfitte da anni sono uno schiaffo per un qualsiasi inquilino e portano con se degrado.
La risposta delle istituzioni è stata dura, con sgomberi e denunce, tuttavia si è incrinato quell’immobilismo che contraddistingueva la città di Bologna rispetto agli immobili privati sfitti.
Inoltre si è dimostrato che si può lottare per il diritto alla casa e ottenere dei risultati di fronte all’immobilismo delle istituzioni e contro la speculazione dei privati, sbloccando in alcuni casi le liste per le case popolari.
Recentemente si è iniziato ad organizzare direttamente gli inquilini di alcune vie attraverso comitati di lotta specifici, rispetto ai diversi problemi legati alla questione abitativa (dal punteggio per le case popolari, all’igenicità, al caro affitti). Va di pari passo l’apertura di nuove sedi di AS.I.A e una maggiore visibilità sul territorio, in particolare nei quartieri popolari, in quanto l’intervento territoriale deve aver un adeguata rete organizzativa, anche sotto il profilo degli spazi dove organizzare l’inquilinato.
Si è lanciata una rete denominata Bologna Prende Casa, che vuole essere lo spazio di confronto e d’azione comune tra AS.I.A e alcuni centri sociali in città, questo ha permesso che si mischiassero diversi approcci e si sperimentassero forme di lavoro comune, rompendo steccati identitari e organizzativi.. Attraverso Bologna Prende Casa si è lanciata una campagna di censimento degli edifici privati sfitti in città. Questa esperienza trasversale è vissuta come un tentativo autoctono di quello che oggi sono i BPM a Roma. La sua forza non sta nell’essere alternativa alle diverse strutture coinvolte, AS.I.A e centri sociali, ma nel dare maggiore forza a questi soggetti. Esistono dinamiche specifiche che rendono necessaria AS.I.A, così come pensiamo esistano identità legate ai Centri Sociali; Bologna Prende Casa è un elastico, la sua esistenza è legata unicamente alle mobilitazioni, unico terreno su cui si crea un confronto e una verifica diretta.
Sul piano generale si è prodotto una piattaforma con cui abbiamo aperto un confronto con le istituzioni e le diverse forze politiche. Dove oltre a richiedere soluzioni riguardo l’emergenza abitativa (blocco degli sfratti, cambiamento del regolamento per l’emergenza) si è chiesta una nuova politica verso l’edilizia popolare, tesa non unicamente alla costruzione di nuovi edifici, ma al recupero e alla requisizione di quelli abbandonati.
Fino a poco tempo fa AS.I.A. non veniva coinvolta nei tavoli di trattativa tra istituzioni e parti sociali, oggi abbiamo imposto la nostra presenza. Su alcune questioni siamo stati addirittura “inseguiti” dagli altri sindacati di categoria come il SUNIA per la CGIL o il SICET per la CISL, che avevano sottovalutato lo sviluppo dell’emergenza abitativa anche sul nostro territorio. Questo dimostra che anche una piccola struttura di inquilini di base -paragonata ai numeri dei sindacati concertativi- può giocare una partita importante, se riesce ad individuare le contraddizioni giuste.
Oggi stiamo iniziando a spostare l’asse sul piano regionale, in quanto è lo spazio effettivo dove si gestiscono i fondi per la casa e dove si imposta lo sviluppo urbano. In questo senso, anche noi come AS.I.A. Emilia Romagna, lanceremo una legge di iniziativa popolare, già presentata in diverse regioni da AS.I.A, e che in alcuni casi come nel Lazio è riuscita ad ottenere importanti risultati.
Lo sviluppo di AS.I.A. sul piano regionale in questo senso va di pari passo, la situazione nel bolognese è speculare a quella che è oggi nell’intera regione. Si sono già avuti momenti di confronto con strutture e collettivi che agiscono a livello regionale sul problema abitativo in Emilia, come a Parma, Reggio Emilia e Modena, e pensiamo di stabilizzare questi rapporti.
Riteniamo imprescindibile il coinvolgimento diretto della struttura sindacale RdB. Ogni federazione locale e regionale deve iniziare a gettare le basi per una sua specifica struttura di AS.I.A., i tempi oggi sono maturi, e la situazione sociale ci impone questa accelerazione.
Esistono nei prossimi mesi ulteriori campi su cui l’AS.I.A. di Bologna dovrà confrontarsi, come il segmento legato ai mutui, che rappresenta ancora oggi il grosso dell’inquilinato. Bisogna riuscire ad organizzare questi inquilini che non sono direttamente proprietari di case, e gettare le basi per vertenze contro le singole banche e fondazioni.
Inoltre vi è la porzione degli assegnatari, che vengono colpiti non tanto nell’affitto diretto ma nelle spese indirette (luce, acqua, gas, spese di manutenzione) e dal progressivo abbandono da parte dell’amministrazione dell’edilizia popolare.
Dopo diverse mobilitazioni abbiamo ottenuto che anche AS.I.A. potesse essere un soggetto riconosciuto per l’iscrizione al bando della case popolari, prima era mero appannaggio dei sindacati concertativi.
Vi sono infine tematiche che attraversano già ora l’intervento di AS.I.A. come il problema della crisi e il relativo ampliarsi della precarietà sociale e quello delle fasce immigrate.
Sul primo versante abbiamo lanciato una campagna direttamente dentro alcuni stabilimenti industriali dove abbiamo iscritti di AS.I.A., in quanto oggi la relazione tra crisi aziendale e emergenza abitativa è strettissima. Questa campagna può rappresentare un valido aiuto anche per l’organizzazione sindacale RdB, in quanto gli permette di entrare in relazione con un numero maggiore di lavoratori. Questo lavoro può essere visto sul piano generale, e traslato a tutti quei soggetti che difficilmente si mettono in relazione direttamente con una struttura sindacale, in quanto la loro collocazione è problematica. Pensiamo che questo sia un approccio diretto a quel lavoro di compenetrazione del sindacalismo metropolitano tra piano aziendale e territoriale.
C’è poi la questione immigrazione, questo soggetto, oltre ad essere il più esposto alla crisi, a una serie di restringimenti sotto il profilo dei diritti democratici, che impone a tutto il sindacato e all’AS.I.A. di intervenire direttamente. Oggi un immigrato che occupa una casa, che si mobilita per una lotta, subisce un ricatto doppio, da una parte il rischio di perdere quel poco che ha, ma anche di perdere la stessa libertà, rischiando l’espulsione o il CPT. Visto il numero di soggetti immigrati coinvolti dentro AS.I.A. diventa per noi necessario ampliare la battaglia per i diritti da quelli sociali a quelli civili. Sul piano organizzativo si sta cercando di mettere in condizione una serie di attivisti immigrati, attraverso strumenti e competenze, di dirigere e coordinare i diversi piani di intervento di AS.I.A.. Questo lavoro è per noi fondamentale in quanto la capacità di resistenza delle fasce immigrate passa attraverso il loro coinvolgimento diretto, bisogna rompere fin da subito l’atteggiamento assistenzialista.
Per fare tutto ciò è opportuno dotarsi di una buona dose di pazienza e di elasticità. Cosi come il sindacalismo di base si è posto fin da subito anche una funzione –politica- nel senso di capacità di indipendenza e autonomia dei lavoratori, cosi una associazione di inquilini oggi non può essere unicamente letta come mera struttura categoriale, ma assumere al suo interno alcuni diversi aspetti della lotta sociale oggi.
Pensiamo che il cosiddetto sindacalismo metropolitano dovrà sperimentare nei diversi territori i suoi molteplici aspetti, e dove è possibile iniziare a stabilizzare attraverso formule organizzative la sua forza e capacità d’aggregazione. La verifica di questo ci permetterà di fare il passaggio successivo.
AS.I.A. sicuramente non è il sindacalismo metropolitano, ma ne rappresenta una sua dimensione pratica, dove poter sperimentare la validità di un simile progetto.
AS.I.A.-RdB Bologna
Agosto 2009