COSA È L’HOUSING SOCIALE
A fronte di un’impennata dell’emergenza abitativa su tutto il territorio nazionale, a cui anche Bologna non è immune, che vede una frenata della compravendita per l’impossibilità ad accendere un mutuo, accompagnata da un aumento dei prezzi del 51% e da un difficile accesso al mercato dell’affitto si fa strada l’housing sociale. Sotto questa definizione rientra una nuova categoria di immobili ovvero “residenza di interesse generale destinata alla locazione”.
Più nello specifico “alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche-quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico”. In pratica si ipotizza la creazione di fondi immobiliari a partecipazione pubblica e privata dove ogni soggetto mette in campo gli strumenti che ha a disposizione: i primi le aree e le agevolazioni, i secondi il vile denaro Del costruito verrà poi assegnata una certa percentuale con un affitto abbattuto circa del 30% sul prezzo di mercato, una sorta di concordato obbligatorio. Nessun legame quindi con il reddito, ma solo con le oscillazioni di mercato. Il costruttore quindi investe, e grazie agli sgravi e alla partecipazione del rischio, si presuppone potrà avere dall’operazione un guadagno del 6/8%, rispetto al 30/40% che ottiene nelle altre operazioni. La rinuncia al restante 25/35% dovrà scaturire dall’adesione sul piano etico e come viene descritto in una relazione sull’housing sociale dall’ANCI (associazione nazionale comuni italiani) “un interlocutore fa dell’intervento sociale la sua filosofia”. L’oggettiva condizione di difficoltà in ambito abitativo porta i costruttori a produrre proposte che non guardano solo alla vendita e a ricorrere ad una “gestione convenzionata” degli immobili da costruire. Tutto questo progetto fa già intravedere i
rischi connessi: la possibilità di speculazioni e la loro ricaduta sui soggetti che dovrebbero beneficiare dell’operazione, la svendita di patrimonio pubblico, la sete di guadagni e le leggi del mercato sicuramente più forti del senso etico.
La volontà di intraprendere questa strada è già stata esplicitata nell’articolo 21 collegato alla finanziaria 2008, che materialmente dirotta i già esigui fondi destinati alle case popolari verso il nuovo housing sociale. Perché sempre più soggetti non siano esclusi dal diritto all’abitare è necessaria un’inversione di tendenza sia a livello nazionale che locale.
E’ un’altra la strada che dobbiamo intraprendere, una strada meno orientata a nuove cementificazioni e con dentro una sfida ai potentati immobiliari. Dobbiamo ripensare la città da un punto di vista pubblico sottraendola all’abbraccio del mattone privato. Non è la rendita che deve disegnare la città, ma chi la vive ogni giorno.
La loro rendita è la nostra precarietà
Per una edilizia pubblica e popolare
BOLOGNA PRENDE CASA
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