DOPO L’11 DICEMBRE LE ILLUSIONI SONO FINITE. E’ ORA DI APRIRE IL DIBATTITO
studenti universitari POLITECNICO09-Bologna
Lo sciopero di venerdì 11 dicembre è stato un fallimento per tutte le realtà di movimento che hanno visto in questa data il treno che poteva riportare il movimento della conoscenza in piazza.
La Cgil, il più grande sindacato italiano, ha dovuto ammettere per bocca del numero uno della Fiom Pappignani, le difficoltà che il sindacato ha avuto nel portare i suoi iscritti in corteo. Le parole d’ordine spuntate, datate e sicuramente non adatte alla tremenda situazione che stanno attraversando i lavoratori nel nostro paese non sono riuscite a portare in piazza quelle decine di migliaia di operai e precari che da mesi soffrono gli effetti della crisi nel nostro territorio e così il corteo, concluso in Piazza Verdi, non contava, a detta degli stessi organizzatori le 20 000 presenze.
Alle istituzioni il sindacato di Epifani chiede di ridistribuire denaro collettivo attraverso le casse integrazioni e gli ammortizzatori sociali ma non viene nemmeno accennata in uno slogan l’idea che la crisi la devono pagare coloro che l’hanno provocata, anzi: la Cgil, come la Cisl e la Uil, negli ultimi mesi ha spinto banche, governi locali e nazionale a sostenere quella piccola e media industria che è stata condannata a sparire proprio dalla ristrutturazione capitalista internazionale divenuta necessaria per uscire dalla crisi. La triade ha accettato enormi sacrifici per i lavoratori, sostenendo che per la ripresa è necessario lo spostamento di enormi capitali dalle casse dello stato a quelle di imprese e settori che, in realtà, dopo questo periodo non riapriranno e non garantiranno più occupazione e crescita. Il modello emiliano è ormai solo un ricordo cosi il suo sistema produttivo.
Del resto a portare tali analisi e considerazioni tra i lavoratori, che aprirebbero le porte a nuove e ben più radicali rivendicazioni, non sarà di certo un sindacato che vive e ha vissuto di concertazione e complicità.
Di particolare interesse le dichiarazioni del numero uno della Cgil Bologna Meloni, parla della difficoltà del sindacato di portare in piazza lavoratori e precari che da molto tempo non sono più nel loro posto di lavoro e per questo difficilmente possono essere organizzati dalla classica struttura sindacale. Questo va ad avvalorare le tesi di quei settori del sindacalismo di base che hanno visto nel sindacato metropolitano, un possibile strumento che riesce a entrare in contatto con quei soggetti che, esclusi dal mercato del lavoro si trovano a dover fare i conti con la perdita del loro reddito, e ne hanno fatto il loro campo di sviluppo strategico aprendo vertenze sul diritto alla casa, per l’ampliamento dei servizi sociali, scolastici e sanitari e costruendo mobilitazioni in difesa dei beni comuni.
Se per il sindacato concertativo di Epifani lo sciopero ha rappresentato solo un “regolamento di conti” interno da cui le correnti di minoranza sono uscite sconfitte dopo il fallimento della manifestazione di Bologna, per il movimento degli studenti (e in particolare per gli universitari) aver costruito nel giorno della manifestazione della Cgil il proprio momento di ripresa è stato un vero è proprio errore. In tutte le città italiane si è assistito all’autorappresentazione delle strutture di movimento; solo parzialmente si è riusciti ad intercettare gli studenti.
Ciò che è successo nell’ultimo anno, da quando cioè si e passati dalle manifestazioni oceaniche alle poche centinaia di persone in piazza, non è tanto da vedersi come un momento di deflusso figlio del periodo politicamente sfavorevole che la sinistra sta attraversando in Italia ma piuttosto il risultato di una analisi e di una rielaborazione incomprensibile che il movimento ha fatto nel corso di quella stessa mobilitazione e in quegli stessi giorni in cui le piazze erano occupate dai nostri cortei. Se è vero che c’è stato un tentativo di uscire dalle facoltà parlando e aprendo i cortei con striscioni che reclamano reddito, dobbiamo anche ammettere che la natura della crisi economica e gli effetti che questa avrà nel territorio non sono stati ben appresi. Stiamo infatti assistendo allo scivolamento di ampi strati delle fasce popolari verso le posizioni dei gruppi più reazionari e xenofobi, all’acuirsi di una guerra tra poveri che porterà gli esclusi da questa società alla competizione per accaparrarsi il poco che le istituzioni offriranno. Se vogliamo che con la riapertura delle facoltà dopo le vacanze natalizie il movimento sia in grado di ripartire, e se il nostro obbiettivo è quello di collegarlo direttamente alle lotte che si sviluppano nel territorio (unico passaggio auspicabile per evitare il diffondersi dei gruppi e delle ideologie neofasciste nei quartieri, nelle periferie e di conseguenza nelle università), dobbiamo assumere il fatto che nessuno dei collettivi, dei gruppi ma nemmeno delle analisi e delle pratiche del movimento, è all’altezza del conflitto che la classe dominante ha aperto nei confronti delle garanzie costituzionali, dei diritti dei lavoratori, dei precari e degli studenti. E’ necessario rimettere in discussione la nostra posizione attuale, aprire un confronto tra tutte le realtà perché se realmente si vuole parlare di reddito, di salario e di libera istruzione questo non può trovare seguito e prospettiva in una pratica fatta di isolamento politico. Riaprire vertenza, battaglia politica e sociale nel territorio non significa a nostro avviso rincorrere i lenti e suicidi treni che ci vengono proposti dal sindacalismo concertativo ma impegnarsi nella costruzione di quelle strutture di intervento indipendenti che possono garantire la presenza costante e capillare in tutto il territorio e in tutti i settori. Costruire nuova teorie e immaginare una nuova prospettiva deve essere il punto di partenza dal quale deve ripartire anche il movimento degli studenti. L’errore principale è stato proprio forse quello di aver concepito la lotta che si sviluppava dentro le facoltà sui luoghi di lavoro, sul territorio, come un appendice delle mobilitazioni della Cgil dimostrando la totale sottomissione ai tempi della politica e dell’azione del PD e dei sindacati concertativi. Oggi dobbiamo sognare, partecipare e organizzare un movimento indipendente di classe.
POLITECNICO09-Bologna
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